" Oh sfortunata generazione piangerai, ma di lacrime senza vita perché forse non saprai neanche riandare a ciò che non avendo avuto non hai neanche perduto (Pier Paolo Pasolini)
È con sommo piacere che mi accingo ad appuntare qualche riga sul terzo lavoro degli italiani Ianva, di cui ho già parlato su queste stesse pagine elettroniche in occasione del loro primo integrale "Disobbedisco!". Di quattro formidabili composizioni si compone questo piccolo bouquet di ricercata bellezza, non affatto brevi (una media di circa 6 minuti per brano) e magnificamente sovra-arrangiate, proprio come tanti di noi si aspettavano, stanchi dellormai posticcio minimalismo a-tutti-i-costi. E ricco il calderone mesciuto sapientemente dalle arti musicali dellensemble ovviamente genovese, e reso ancora più abbondante questa volta dallesperienza di nuovi musicisti e nuove suggestioni, il cui prodotto alchemico è rimasto per ben due anni a maturare e stagionare, come le buone cose italiane. Malombra e Morricone, Marinetti e De Martino, ammiccamenti non nuovi a Brel e Walker e De André, Douglas Pearce ed Anna/Varney, un certo gusto per i toni bassi e striscianti di certo primo doom o prog oscuro, e poi Folk Noir e cabaret, suggestioni a la Rota "amarcordiane" e bandistiche, italiche, franzosi, crucche ed addirittura inglesi, come dimostra il tributo alla bella ballata In Battaglia (mi si perdoni lardita allitterazione): tutto vi si fonde e confonde nella prospettiva di una ricerca di colori ed atmosfere che solo a costo di una grave esemplificazione definiremmo vintage. La grazia senza tempo e le carezzevoli melodie de Il Sereno e la Tempesta sono da antologia musicale, come anche la struggente Santa Luce dei Macelli, che evoca le tradizioni (e non una metastorica Tradizione, falsa e artata, con buona pace di voi-sapete-chi) del nostro Sud più genuino e bistrattato, pregno di una spiritualità e di unaspra sensuale musicalità tanto vilipesa dal lascito illuministico, e di cui, mi si permetta la digressione solo apparentemente fuori luogo, le c.d. Scienze Umane hanno finalmente fatto giustizia. E descrivere poi le nuove prove di Mercy (Il Segno del Comando, Malombra) e Stefania DAlterio (Wagooba)! Il primo alternativamente ieratico e militare, dallincedere sempre composto ed algido, la seconda patetica, viscerale (giustamente annota lamico Gianni) e ferrigna, come la lucana prefica o la janara del Matese. Ugualmente unici i contributi strumentali della formazione tutta, in parte rivisitata appositamente per questEP e mai fuori luogo o sopra le righe, sempre pregnante. Due sole le note di rammarico, a mio avviso, e cioè la produzione talvolta un tantino pastosa, in particolare per quanto riguarda la voce di Mercy in rari passaggi, e la mancanza di Argento (Spite Extreme Wing), già assente in occasione del Vesper Ianvense dellanno scorso. Un nuovo piccolo gioiellino dunque, che anche stavolta schiaccia sprezzante con la potenza dei suoi temi, della sua pienezza e bellezza, le facili esemplificazioni e mistificazioni. Nuove dolenti note, crudeli e mai come stavolta vivide e taglienti come le paure e i dolori in trincea; vere come la nostra amara delusione, come la disillusione dallArditismo, anche se filtrata dalla nebbia della nostalgia. Se è vero, come ha detto un grande antropologo e linguista, che gli uomini parlano soltanto e sempre della condizione umana, anche quando non se ne accorgono o solo inconsciamente, ebbene qui abbiamo probabilmente un esempio esatto, conscio e palese di ciò che voleva dire, e su più livelli per giunta. I testi permettono infatti una doppia lettura: quella immediata, istintiva direi, propria delle liriche della forma canzone, una dimensione semantica forse più vicina alla poesia, ed invece, nascosto, il senso critico e storico, forsanche ideologico e sicuramente filosofico. Ci domandiamo, provocati dallascolto della prima traccia (LOccidente, appunto), cosa rimanga di questo nostro Occidente. È questo il retaggio per il quale hanno combattuto e sono morti i nostri antenati? Abbiamo davvero barattato il loro sacrificio per un molle e miope benessere? Alcuni ciononostante restano desti e lungimiranti, anche se solo per osservare impotenti lincombere della notte, là dove decade il Sole, ad ovest. Con fittizie soluzioni di continuità per sentirci noi dagli altri, voltiamo sprezzanti e tronfi le spalle ai fratelli dei deserti e delle steppe, per poi guardarci intorno e scoprire macerie, guardarci dentro e scoprire i vuoti abissi del nulla (Cioran e Caraco?), per tornare ad essere finalmente un punto cardinale. Ed allora non resta forse che marciare indietro, ripiegare verso il Passato, (ri)cercare il Tempo Perduto, idealizzarlo e farne unancora di salvezza, anche se non tornerà".
(Alessandro EthosAnthropoDaimon T. - Debaser.it 5/5).